Cronaca e Storia

Cronaca e storia sono due termini che vengono spesso considerati sinonimi.

I loro significati presentano tuttavia delle differenze che vengono amplificate dal contesto in cui sono utilizzati.

La cronaca, come da vocabolario, consiste nel “descrivere l’avvicendamento dei fatti secondo l’ordine dei tempi”, la storia nel “narrare e interpretare lo svolgimento della civiltà umana nelle sue più svariate forme”. Già in questo confronto un po’ burocratico emergono due macroscopiche divergenze a proposito dei compiti, delle azioni di rispettiva competenza: la cronaca si occupa di “descrivere”, la storia di “narrare e interpretare”. Inoltre l’oggetto di queste azioni è, nel primo caso, “l’avvicendamento dei fatti”, nel secondo “lo svolgimento della civiltà umana”.

Può forse sembrare eccessivo dire che la cronaca sta lentamente sostituendo la storia. Eppure è sempre più raro trovare “narrazioni e interpretazioni” – magari fornite da quella che un tempo si chiamava cultura – che rompano la monotonia delle consuete “descrizioni” fornite dai media: non è per ragioni occasionali che “cronaca” rappresenta il sostantivo di riferimento dell’attività giornalistica. Perdere di vista il senso della storia, rinunciando al carattere narrativo che immancabilmente la caratterizza, significa depotenziare la percezione della realtà, ridurla a un’attività di superficie che elude la profondità anche tragica che le è propria, e soprattutto abdicare al compito di interpretarla, di sottoporla a un giudizio.

La sostituzione della storia con la cronaca riguarda anche la pittura: soprattutto quella che scopiazza i media, ne ricalca la facilità, la passività fruitiva, finendo col replicarne gli esiti di svuotamento del senso e di omologazione espressiva. Forse l’unico antidoto a questo avvelenamento da pittura facile è una pittura intenzionalmente difficile, persino un po’ faticosa, come quella di Davide Cantoni.

Sforzare lo sguardo, dettargli delle condizioni con cui misurarsi consapevolmente, determina un inevitabile affinamento della percezione, ma soprattutto un progresso della capacità di interpretare le immagini. La necessità di individuare il corretto punto di vista, di assumere la posizione più adeguata per riuscire a cogliere le figure che affiorano dai dipinti di Cantoni, stimola questo avanzamento, e suggerisce alcune indicazioni sul valore metaforico di una pittura otticamente mutevole.

La storia insegna che la visione della realtà cambia a seconda della prospettiva con cui la si inquadra. Questa medesima ‘lezione’ può essere rintracciata anche nelle opere di Cantoni. “Corruzione in Perù” o “G 8” possono sembrare, a seconda della ‘posizione’ – nel senso anche metaforico del termine – da cui li si osserva, delle superfici bianche pervase da un fremito variabile, o delle scene che documentano in modo istantaneo degli eventi ormai trascorsi, ma che non cessano di condizionare il presente. L’attitudine a intravedere dei ‘fatti’ nella variabilità continua dei fremiti che caratterizzano il tempo è il primo livello di cognizione della storia.

La cronaca, tuttavia, per aspirare a farsi storia, deve subire qualcosa di simile a un ‘rito purificatorio’ che la privi del suo lato effimero, del suo carattere ‘di consumo’. Come in ogni purificazione che si rispetti, non può mancare il fuoco, che nelle opere di Cantoni ha un ruolo evidente. I disegni tratti da fotografie pubblicate sul New York Times vengono bruciati minuziosamente con una lente di ingrandimento, fino a ridursi a una sorta di scheletro, di guscio dell’immagine. Il vuoto virtuale che caratterizza la cronaca, il senso di vacuità che emana dal flusso indistinto di notizie fornite dai media, viene annullato da un vuoto reale, da una cavità in cui è possibile scorgere il residuo di quel significato storico che gli eventi non cessano di possedere.

Forse non può esistere una ‘pittura della storia’ che non si misuri con la storia della pittura. Per questo i quadri più recenti di Cantoni si inseriscono, in modo del tutto peculiare, all’interno di una tradizione che ha determinato la storia dell’arte del novecento. Parlare di ‘pittura astratta’, per le opere intitolate “Codice”, può sembrare quantomeno anacronistico, ma l’intento di Cantoni è proprio quello di sottrarsi a una definizione temporale precisa e a un contesto ‘attuale’. Il concetto di attualità sta soppiantando quello di contemporaneità, proprio come la cronaca sta sostituendo la storia. I “Codici” sono contemporanei in quanto si pongono il problema perenne della modalità di lettura delle immagini, del loro significato recondito. E’ pleonastico aggiungere che tale problema si può affrontare solo quando, come in queste opere, c’è un significato da decifrare.